Il SEGRETO DI ROSA
CAPITOLO 2
Per diversi giorni riflettei se chiamarlo o meno.
Curiosando nel suo profilo Facebook, rimasi esterrefatta
dalle splendide foto che aveva pubblicato: un vero e proprio artista. Le sue
immagini erano particolari, ricche di dettagli impercettibili ai più; aveva la
straordinaria capacità di cogliere la bellezza, l’estetica e la perfezione
attraverso il suo obiettivo. Sul suo profilo apparivano solo poche
informazioni: uomo, 50 anni, Firenze. Nessuna traccia del suo volto. Ma le foto
che aveva postato parlavano di luoghi vicini, lontani, di foreste, di mare,
di montagna.
Quella mattina, mentre ero in ufficio, camminavo avanti e
indietro nella mia stanza, sommersa da un mare di scartoffie e con il telefono
che trillava di continuo. D’improvviso presi una decisione: lo avrei chiamato.
Feci tre respiri profondi, mi sedetti sulla mia vecchia poltrona nera di pelle
e composi il numero.
Il cuore mi batteva forte, senza un apparente motivo. Non lo
conoscevo nemmeno. Eppure, quell’alone di mistero esercitava su di me un
fascino irresistibile. Mi tornò in mente il suo sguardo profondo, penetrante,
quasi sfidante.
Il telefono squillò a lungo, ma nessuno rispose. Un po’
delusa, riagganciai.
Guardando l’agenda, mi resi conto di essere in ritardo per l’appuntamento dal
parrucchiere.
Afferrai il soprabito, lo indossai in fretta e uscii dall’ufficio come un
fulmine.
Arrivai in salone trafelata: avevo pedalato in tutta fretta
per non perdere il turno. Con impeto spalancai la porta, attirando su di me gli
sguardi incuriositi delle clienti e delle parrucchiere.
Imbarazzata, salutai e mi sedetti in attesa. Il vociare delle donne, il fruscio
delle riviste sfogliate, il ronzio degli asciugacapelli e l’intenso profumo di
lacche e tinture mi travolsero. Un’atmosfera vivace, ma anche un po’ caotica.
Dopo poco mi chiamarono al lavaggio, e con piacere vidi
avvicinarsi Antonella. Silenziosa, iniziò a lavarmi i capelli con gesti decisi
e al tempo stesso delicati. L’acqua calda mi avvolgeva in una sensazione di
benessere totale. Quasi in estasi, socchiusi gli occhi, lasciandomi cullare da
quel momento di relax.
All’improvviso, il mio telefono squillò nella borsa. Pensai:
“Sarà l’ennesimo messaggio, lo guarderò dopo”.
Quando fui pronta per il taglio, completamente avvolta in
una mantella nera, la curiosità ebbe il sopravvento. Presi il telefono e lessi
con stupore un messaggio da un numero sconosciuto:
"Se mi dici dove sei, vengo a rapirti."
Chi poteva essere?
Rimuginai a lungo, finché un’idea mi attraversò la mente. E
se fosse lui?
Ma come aveva avuto il mio numero? Chi altri poteva essere?
Dopo circa mezz’ora arrivò un secondo messaggio:
"Passo a prenderti sotto casa alle 19. Fatti trovare
pronta."
Pensai: "Ma chi si crede di essere?"
Infastidita da quel tono imperativo, decisi di non
rispondere e tornai in ufficio.
Dopo un pomeriggio intenso tra telefonate e scartoffie,
verso le 17 decisi di uscire per una passeggiata in bicicletta lungo i viali,
sperando di schiarirmi le idee. Durante il tragitto di ritorno, una strana
sfida prese forma dentro di me. E se mi facessi trovare davvero pronta alle 19?
I preparativi furono veloci. Dopo essermi profumata forse
più del necessario, indossai il mio tubino rosso, una giacca nera avvitata,
calze a rete e tacchi a spillo.
L’attesa si protrasse per 40 minuti. Cominciavo a
spazientirmi: lo avevo chiamato e gli avevo mandato messaggi, ma non
rispondeva.
Poi, il mio nervosismo svanì di colpo.
Davanti a me si fermò una Maserati rosso fiammante.
Lui scese, mi aprì la portiera e con un sorriso sussurrò:
"Buonasera, principessa. Lei è di una bellezza
disarmante."
Un misto di imbarazzo e curiosità mi pervase. Il suo
profumo, intenso e misterioso, mi avvolse completamente.
Ci dirigemmo verso le colline, percorrendo una strada
panoramica che costeggiava la città. Dopo circa venti minuti, la Maserati si
fermò davanti a un vecchio cancello in ferro battuto.
Riconobbi subito il posto: una pensione d’epoca, da sempre
gestita dalla stessa famiglia da generazione in generazione.
Ero passata molte volte davanti a quel luogo, ma non vi ero
mai entrata.
Attraversammo il vialetto interno e dopo un paio di
tornanti, parcheggiammo. Il giardino era magnifico: alberi secolari, aiuole
curate, un tappeto di prato verde perfetto.
Scendemmo dall’auto. Lui mi osservava. Un lembo del mio
vestito si era sollevato, scoprendo la gamba nuda. Sorrise, accennò un inchino
scherzoso e disse:
"Prego, madame."
Entrammo nella reception. Gli addetti lo salutarono con una
confidenza che mi colpì. Sembrava un cliente abituale.
Mi affacciai in giardino e rimasi senza fiato. La terrazza
offriva una vista spettacolare sulla città, che si stendeva sotto di noi in
tutta la sua bellezza, peculiarità ed unicità. Sembrava di volare.
Lui si voltò e mi chiese:
"Ti piace questo posto?"
"Molto. Mi sembra di essere in un’altra epoca, di fine
Ottocento. Questa villa, gli arredi, il giardino… tutto racconta storie di un
tempo perduto."
I camerieri cominciarono a servire l’antipasto.
"Spero non ti dispiaccia, ho già ordinato per
entrambi."
Mentii spudoratamente:
"No, affatto. Mi fa piacere."
La cena iniziò con una serie di assaggi particolari e
gustosi. L’atmosfera si scaldava. Da un bicchiere di prosecco passammo allo
champagne, e a metà cena ero già su di giri. Parlai quasi solo io: raccontai
del mio lavoro, della mia vita, delle relazioni fallite.
Lui mi ascoltava, attento. Ogni tanto il suo sguardo
indugiava sulla mia scollatura.
Concludemmo la cena con una mousse al cioccolato e lamponi:
deliziosa, vellutata, un nettare che mi scivolava in gola lasciandomi
estasiata.
Alzandomi dal tavolo, un leggero capogiro mi colse
all’improvviso. Lui fu rapido: mi cinse la vita, sostenendomi con fermezza.
Risi a voce un po’ alta e lui nell’orecchio, mi sospirò le seguenti parole:
“stai tranquilla Bambolina”.
Uscimmo dal ristorante mentre Il maître lo salutò:
"Grazie, signor Gianni. Come sempre, un piacere."
Lui rispose con un cenno della testa, come a dire:
"Metta sul conto."
Provai un brivido di freddo e timore.
Saliti in macchina, mi aiutò ad allacciarmi la cintura,
avviò la macchina che fece un gran rombo e disse:
"Ti dispiace se passiamo da casa tua?"
Intontita dallo champagne, annuii senza pensarci troppo.
Ma cosa diavolo mi prendeva? Invitare uno sconosciuto a casa
mia al primo appuntamento?
Arrivammo rapidamente sotto il mio palazzo.
Salimmo in ascensore. Sentivo il peso del suo sguardo
addosso.
Appena entrati in casa, si avvicinò.
Mi baciò.
Un bacio lungo, appassionato, che mi tolse il fiato.
Poi iniziammo a spogliarci.
E ci dirigemmo verso la camera da letto.
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