Il Segreto di Rosa – CAPITOLO 7

Raggiante per la serata fantastica trascorsa con Gianni, presi la bicicletta e mi diressi in ufficio.


Era una giornata un po’ fresca, il cielo era coperto da nuvole e tirava un po’ di vento; sembrava quasi che il tempo stesse per volgere alla pioggia.


Andavo in bici, completamente assorta nei miei pensieri, rivivendo ogni particolare di quella sera e le emozioni che avevo provato accanto a lui.
Non mi fermai a fare colazione quella mattina perché era piuttosto tardi: mi ero dilungata a fare la doccia e a darmi le creme mattutine.


Salii velocemente le rampe di scale, senza aspettare l’ascensore, ed entrai in ufficio.


La segreteria mi corse subito incontro: “Avvocato, mi scusi, ma c'è una nuova cliente che la sta aspettando da circa 30 minuti in sala d’attesa. Se ne era scordata?”
Pensai tra me e me: È vero! “Accidenti, sì, stamani ho la testa fra le nuvole. Le inventerò una scusa.”


Infilai di soppiatto nel mio ufficio e chiusi la porta.


Feci tre respiri profondi, riassettai le carte sul tavolo, accesi il computer, silenziai il telefono ed andai a chiamare la nuova cliente.
Era una donna molto bella, circa della mia età, con capelli nero corvino lunghi fino alle spalle, gambe lunghe e una corporatura longilinea. Indossava un tailleur color panna con camicia di raso nera.


Appena mi vide arrivare, si alzò e si presentò:
“Piacere, sono Christine Gillot”.


“Piacere, sono l’Avvocato Dini, prego, le faccio strada.”


La feci accomodare nel mio studio.

“Come posso aiutarla?” chiesi.

Con le lacrime agli occhi, mi rispose: “Vorrei fare una denuncia contro il mio amante o, meglio, vorrei sapere se ci sono i presupposti per farlo. Sa, lui è molto ricco e potente, è il proprietario di una catena di ristoranti ed è sposato.”


Le chiesi: “Mi dica tutti i particolari e mi racconti la storia dall’inizio.”

“Circa due anni fa, ero a cena con delle amiche al club, quello in centro vicino al mercato, una sera d’inverno. Mi ricordo che era molto freddo. Ero a prendere un drink con le mie amiche francesi, e lui lo notai a un tavolo da solo, bellissimo ed elegantissimo. Ci guardammo per tutta la sera, ma non fece nessun approccio. Solo alla fine della serata, passando davanti al nostro tavolo, mi fece cadere un biglietto da visita sulle ginocchia, con scritto sopra ‘Chiamami.’”

Non appena sentii quelle parole, cominciai a tossire forte e diventai tutta rossa in viso, non sapevo come reagire. Un colpo di tosse che mi scosse profondamente.


“Mi scusi, vado a prendermi un po’ d’acqua,” dissi.


Mi alzai ed uscii dalla mia stanza, andai al dispenser dell’acqua e bevvi due bicchieri uno dopo l’altro. Le gambe mi tremavano, e non riuscivo a capacitarmi se fosse Gianni o no.
Che coincidenza strana, pensai.

Mi ricomposi e rientrai nella stanza.


“Mi scusi tanto, prosegua, prego.”

Christine continuò:
“Da quel momento, in sintesi, sono diventata la sua amante. Abbiamo passato dei momenti indimenticabili assieme. Mi ha sempre fatta sentire una regina, mi ha regalato vestiti, gioielli, mi ha portato alla sua villa al mare, siamo stati alla sua baita in montagna, viaggi all’estero. Ma ci vedevamo saltuariamente, perché mi diceva che doveva lavorare e stare dietro alla moglie. A volte passavano settimane senza messaggi, tutto in silenzio. In alcune occasioni era evitante e, quando stavamo assieme, era un po’ dominante, decideva sempre lui tutto.


Poi, circa un mese fa, è successo qualcosa. Ha cominciato a evitarmi, i silenzi si sono allungati, i messaggi sono diventati freddi, ha cominciato a trattarmi male, dicendo che ero troppo appiccicosa, che lui aveva bisogno dei suoi spazi, che aveva grane grosse sul lavoro e una famiglia. Poi, una sera, mentre eravamo in macchina, tornando da un ristorante in campagna,  ha dato di matto. Mi ha detto che la colpa era tutta mia, che con il mio atteggiamento non riusciva a stare tranquillo, che non aveva la testa libera, che ero troppo gelosa e non ce la faceva più.


La discussione degenerò, e mi dette uno schiaffo forte. Si fermò di scatto sul ciglio della strada, mi prese per i capelli, mi gettò a terra, mi dette due calci sulle costole e mi lasciò l lì, da sola, di notte, sotto shock.”

Non sapevo cosa pensare.


Chiesi: “Ma come si chiama il suo amante?”
“Gianni Bianchi,” rispose.


La mia testa cominciò a martellare e la vista si annebbiò. Presi velocemente un cioccolatino che era sulla scrivania, cercando di aumentare lo zucchero nel sangue, e lentamente la vista tornò normale.


La cliente mi chiese: “Tutto bene, Avvocato?”


“Si, sì,” risposi. Ma dentro di me si scatenò un inferno.


“Senta, dovrei esaminare il caso in dettaglio. Facciamo così: potrebbe gentilmente mandarmi una e-mail con una relazione dettagliata dei fatti, con più particolari possibili?

Poi farò una valutazione e le farò sapere al più presto. Scusi, quindi lei vorrebbe denunciarlo per violenza fisica?”


“Anche per violenza psicologica,” rispose.


“Capisco,” dissi.


“Sa, Avvocato, sono state delle settimane molto dure. Non sono voluta andare a fare la denuncia alla polizia, perché il Questore è suo amico di scuola e quindi ho le mani legate.”


“Va bene, le farò sapere,” risposi.
Si alzò, mi ringraziò e mi chiese: “Avvocato, le devo pagare la consulenza?”


“Va bene così, arrivederci,” risposi.


Uscì e chiuse la porta dietro di sé.

Non stavo in piedi, mi distesi sul divano, sotto shock.
Gianni non era solo un nome in un caso legale; era una presenza nella mia vita, un amore proibito, un segreto che tenevo racchiuso nel cuore. Mi vennero subito alla mente i momenti intensi passati con lui, il fascino magnetico, la passione, ma anche i silenzi.


Com’era possibile che fosse lo stesso Gianni? Ma la gelosia, la manipolazione, l’egoismo, la determinazione, la dominazione, le conoscevo bene, le toccavo con mano.


Mi alzai dal divano e cominciai a passeggiare nervosamente per la stanza. La mia mente faticava a mettere tutti i pezzi assieme, perché il dolore era troppo grande.
Mi fermai davanti allo specchio, fissando il mio riflesso, ma non mi riconoscevo più.

Come potevo continuare a gestire questo caso, dove ero coinvolta emotivamente? Come avrei fatto a spiegare tutto questo ai miei colleghi?

Non si trattava solo di un caso di violenza domestica, ma di un uomo che stava distruggendo me, Christine e sé stesso.


La rabbia iniziò a salire, mescolandosi alla frustrazione. Sentivo il bisogno di fare qualcosa, di fermare Gianni, di fare giustizia, ma una parte di me si sentiva intrappolata nella connessione con lui. La verità sembrava così labile, così sfuggente. Se l’avessi davvero affrontato, avrei messo a rischio non solo la mia carriera, ma anche la mia vita privata.
Il legame con lui non era facile, mai chiaro, ma ora che tutto veniva a galla, non sapevo più se cercare giustizia per Christine o proteggere me stessa da una verità che mi avrebbe fatto crollare.


Mi sedetti di nuovo, il volto teso, e per un attimo, la stanchezza prese il sopravvento. Le sue mani tremavano leggermente mentre cercava di raccogliere i pensieri, ma tutto mi sembrava sfuggire. La sua mente era come una tela che si stava lentamente strappando.
Il pensiero che la donna che stava cercando giustizia fosse stata violentata da colui che amava, la tormentava.

Come poteva ora separare la sua lealtà professionale da quella personale? Ogni mossa avrebbe avuto un prezzo altissimo, ma il pensiero di permettere a Gianni di farla franca, di continuare a danneggiare Christine, era insopportabile.


Chiusi gli occhi, cercando di trovare un po’ di pace, ma il caos dentro di me non dava tregua. La mia missione era chiara: dovevo trovare una via per fare giustizia, ma più ci pensavo, più mi rendevo conto che, prima di tutto, dovevo fare i conti con me stessa.

 

 

 

 

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