Il Segreto di Rosa – CAPITOLO 8

Sempre distesa sul divano, cominciai a guardare il soffitto e intravidi delle piccole venature nelle travi, come se fossero forme geometriche di diverse dimensioni. Alcune sembravano onde che andassero e venissero, donandomi un senso di tranquillità.

Mi alzai di scatto, ormai completamente sopraffatta dai miei pensieri, e presi una folle decisione: quella di affrontare la realtà. Ancora sotto shock, mi guardai allo specchio e notai nel mio sguardo una nota di determinazione. Più mi guardavo, più capivo che quella era l’unica via d’uscita. Presi il telefono, chiamai Christine: “Pronto”, rispose. “Salve, Christine, avrei bisogno di parlarle. Potremmo vederci domani a pranzo? Ma non qui nel mio studio, piuttosto all'osteria in fondo alla strada, quella che costeggia il mercato. Sarei lieta di invitarla.” Sentii un certo imbarazzo dall’altra parte e, dopo qualche minuto, rispose: “Va bene, Avvocato. Le andrebbe bene alle 14? Esco tardi dal lavoro domani.” “Certamente, arrivederci.” Chiusi la telefonata.

Tirai un respiro di sollievo e pensai che dovessi andare all'incontro con Christine non come avvocato, ma come Rosa, perché non potevo più separare il mio ruolo professionale dal mio cuore. Sapevo che dovevo stare molto attenta a quello che dicevo, perché avrebbe avuto una ripercussione non solo sul caso, ma sulla mia vita stessa.

L’indomani arrivò velocemente, e mi trovai davanti al ristorante ad attendere Christine. Avevo i sudori freddi e camminavo su e giù sul marciapiede, in preda all’ansia. La vidi arrivare con passo veloce e deciso, in abito blu e un sopra-abito color crema che le andava a pennello. Ci stringemmo la mano ed entrammo nel ristorante.

Mi ero raccomandata con il gestore di metterci nella saletta riservata nel retro del ristorante, dove nessuno ci avrebbe disturbato o ascoltato. Quando fummo una di fronte all’altra, notai che Christine era molto pallida, stanca, ma con una certa forza di volontà.

Di sottofondo si sentivano i rumori della cucina, e le voci del cuoco che impartiva ordini ed urlava quando i piatti non erano ben preparati. Rumori di pentole che sbatacchiavano nel lavello, il rubinetto dell’acqua che veniva lasciato scorrere, e il campanello che avvertiva i camerieri di servire a tavola.

Feci un respiro per concentrarmi e cominciai: “Senta, Christine, oggi sono qui non come avvocato, ma come donna, e ho una confessione da farle.” Lei sgranò gli occhi e disse: “Cioè?”
“Sono qua per dirle che purtroppo sono l’attuale amante di Gianni e che sono sotto shock aver appreso tutto quello che mi ha raccontato.”

Christine fece un salto sulla sedia, come se avesse visto un mostro. Riabbassò lo sguardo e scoppiò in un pianto a singhiozzi. Non sapevo davvero cosa fare, ero imbarazzata, perché sapevo come si sentiva. Conoscevo quel dolore profondo, lacerante, che spezzava il cuore. Dopo qualche minuto, si soffiò il naso, si asciugò gli occhi e accennò a un leggero sorriso.

Il cameriere arrivò quasi correndo e ci chiese se fossimo pronte con le ordinazioni. Tutte e due dicemmo insieme: “Il menu del giorno, grazie.”

Christine, ad un certo punto, esordì: “Avvocato, senta, io non ho niente da giudicare e credo che questa situazione sia veramente una brutta faccenda e non capisco questa coincidenza. Deve sapere che l’altra sera Gianni me lo trovai sotto casa, mi fece salire in macchina e mi disse: ‘Non ti azzardare a denunciarmi, perché posso essere molto cattivo con te e tua madre, hai capito?!’”


Quindi era tutto chiaro: Gianni non era solo un uomo che abusava di potere, ma un vero manipolatore senza scrupoli, capace di distruggere tutto e tutti pur di mantenere il controllo. Era come quei narcisisti patologici, che manipolavano le persone senza provare rimorso. Mi vennero in mente tutte quelle caratteristiche che avevo già notato, ma che facevo fatica a vedere fino in fondo: il controllo, la violenza psicologica e la ricerca incessante di potere.

Adesso la situazione era sì legale, ma anche personale.


Christine mi raccontò che Gianni era cresciuto in un ambiente in cui la validazione esterna era tutto. I suoi genitori (o almeno uno dei due) lo avevano sempre trattato come una figura speciale, spingendolo a credere che meritasse il mondo intero ai suoi piedi. In realtà, però, questa attenzione era più una forma di controllo e di idealizzazione, che gli aveva dato l'illusione di essere invincibile. Fin da giovane, Gianni imparò a manipolare le emozioni degli altri per ottenere ciò che voleva, senza mai considerare veramente i bisogni o i sentimenti altrui. Era convinto che la sua autostima dovesse essere costantemente rinforzata da ammirazione, potere e dominio sugli altri.

Nel corso degli anni, questo comportamento si sviluppò con la mancanza di empatia, l'egocentrismo estremo e la tendenza a trattare le persone come oggetti da usare e gettare. La sua vita amorosa era stata segnata da una serie di relazioni tossiche, in cui aveva sempre cercato partner che potessero nutrire il suo ego, ma che fossero anche facili da manipolare. Quando Gianni si trovò, dopo un periodo iniziale, davanti a Christine, che non era disposta a piegarsi facilmente, la vide non più come preda, ma come una minaccia, una sfida. La sua incapacità di accettare un rifiuto o una diminuzione della sua importanza scatenò in Gianni una serie di comportamenti tali da abusare psicologicamente di lei e umiliarla per distruggerla lentamente.

Nell’ascoltare quelle parole, mi resi conto che io rappresentavo per lui una preda perfetta: una persona intelligente, ambiziosa, ma anche vulnerabile, in cerca di approvazione. All’inizio ero stata messa al centro, ammirata e apprezzata, ma con il tempo aveva cominciato a notare dei cambiamenti inquietanti: le critiche sottili, i comportamenti possessivi, le manipolazioni psicologiche.


È come se avessi davanti agli occhi un puzzle completato: Gianni era entrato nella mia vita in maniera subdola. Nel primo periodo mi trattò come una regina, ma poi iniziarono le critiche sottili, come a minare la mia autostima. Desiderava che tutti lo ammirassero, trattandolo come una persona eccezionale, e forse aveva distorto la realtà, lasciandosi passare come un uomo di successo e di potere. Le azioni che mi stava riportando Christine facevano intuire la sua mancanza di interesse per i sentimenti o il benessere degli altri. Vedeva le persone come strumenti per raggiungere i suoi scopi, senza mai considerare l’importanza delle emozioni.

La scoperta di questa realtà non mi liberò completamente, perché mi sentivo ancora legata a lui ed ero attratta dalla sua capacità di affascinare, dalla sensazione che l’amore per me fosse “speciale.”

Non sapevo come procedere, perché il dolore che sentivo al cuore mi toglieva il fiato, ed avevo davanti a me una donna ferita che aveva bisogno del mio aiuto. Nella mia carriera mi ero sempre battuta per le donne, per le ingiustizie e i maltrattamenti, ma ora mi trovavo protagonista in una situazione drammatica.

Finito il dolce, pagai il conto ed uscimmo. Appena varcammo la porta, sentii un po’ di vento e l’aria fresca che riempiva i miei polmoni, provando un certo sollievo nell’essere all’aria aperta.

Ci salutammo con una stretta di mano e dissi: “Christine, io voglio aiutarla a uscirne illesa, ma bisognerà affidare il caso a un mio collega.” Christine annuì e si allontanò.

Mentre me ne tornavo a casa a piedi, lo vidi sfrecciare con la sua macchina.

 

 

 

 

 

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