Il Segreto di Rosa – CAPITOLO 9
Alzai lo sguardo e vidi la sua macchina, bella e lucida,
posteggiata sotto casa mia. Lui mi aspettava, appoggiato al cofano.
Il mio corpo si irrigidì e il cuore cominciò a battere forte.
Mi venne incontro con calma. Fermai la bicicletta e subito sentii nell’aria il
suo profumo. Un’emozione forte mi bloccò il respiro. I suoi occhi chiari
incontrarono i miei, e rimanemmo così per qualche attimo.
Disse:
— Ti aspettavo.
Con un sorriso un po’ tirato, continuò:
— Volevo parlarti. Ho avuto l’impressione che qualcosa sia cambiato tra noi… e
volevo capire.
Le sue parole erano pacate, profondamente misurate, ma si
notava la tensione.
Risposi:
— Non c’è più un “noi”, Gianni. Soprattutto dopo quello che ho scoperto.
Lui rise e disse:
— Christine, vero? Ti avrà raccontato le solite storie. Sai, è una squilibrata
che ha bisogno di attenzione. Ti ha manipolata.
Quella frase fu come uno schiaffo. Riusciva sempre a
rovesciare la situazione a suo favore, scaricando la colpa sugli altri.
— Christine non ha bisogno di manipolare. Sei tu che lo
fai.
Vidi un lampo nei suoi occhi. Rosso di rabbia, si
avvicinò.
— Sai bene che nessuno ti conosce più di me. Sei bella,
intelligente… ma fragile. Ed io ti ho scelta e protetta. Tu non puoi vivere
senza di me.
— Tu non mi hai protetta. Ti sei approfittato della
situazione.
Si irrigidì, la mascella contratta. Cambiò strategia:
— Posso rimediare, sai? Posso essere migliore, basta che me lo lasci fare.
Ma io non ci credevo più. Non potevo accettare.
Mi guardò in silenzio, sembrava non sapesse cosa fare.
— Allora è finita? — disse.
Risposi:
— Sì. Ed è meglio per entrambi.
Mi girai di scatto e mi avviai verso casa. Sentivo i suoi
occhi sulla schiena, ma non mi voltai. Chiusi il portone alle mie spalle. Lui
accese il motore e partì con un grande rombo.
Appena mi sentii al sicuro, cominciai a piangere. I
singhiozzi scuotevano tutto il corpo e la mia solita ferita al cuore si faceva
sentire.
Con calma presi l’ascensore che mi portò dritta al mio attico. Mi spogliai
velocemente ed entrai in doccia. Il calore dell’acqua mi diede sollievo e mi
fece rilassare.
Non riuscivo a capacitarmi di come fossi potuta cadere in
quella situazione. Sempre lo stesso schema: essere preda di un narcisista. Non
capivo come potessi attirare sempre quel tipo di persone. Avevo letto libri, mi
ero documentata, avevo visto video di professionisti… eppure ci ero ricaduta.
Pensai di scrivergli un messaggio.
Il messaggio diceva così:
"Pensavo fosse amore.
Attorno a me c’è un grande silenzio, ma non è pace: è la quiete dopo il crollo
della torre.
All’inizio della nostra relazione sembrava tutto perfetto. Tu mi sembravi
impeccabile.
Mi hai vista... e hai capito tutto in un secondo.
Hai annusato la mia fame d’amore, come un lupo che sente il sangue.
Hai detto tutto quello che aspettavo da una vita. Le parole giuste, i gesti
giusti, il sorriso calibrato per farmi sentire unica.
E io… io ci ho creduto.
Perché volevo crederci. Volevo sentirmi finalmente scelta.
Non ho visto l’inizio del gioco.
Non ho capito che ogni tuo abbraccio aveva un prezzo.
Che ogni carezza era una moneta che prima o poi avrei dovuto restituire con
interessi.
Che quel tuo modo di guardarmi non era amore, era possesso.
Ora ci sono solo io. Con questo vuoto addosso, con queste ferite ancora aperte.
Ma per la prima volta… sono mie. Non tue.
E lentamente, tra le crepe, sento qualcosa muoversi.
Forse è rabbia.
Forse è dignità.
Forse è la mia voce che torna.
Non so ancora bene chi sono, senza di te.
Ma so chi non voglio essere mai più."
E lo inviai.
Mi preparai con calma la cena, abbandonai il cellulare sul
letto e andai in cucina.
Cucinai un buon risotto e un’insalata mista, mi misi davanti alla TV e guardai
un bel giallo.
Passarono un paio d’ore e mi addormentai sul divano. Non
avevo la forza di andare a letto, così rimasi lì e continuai a riposare.
I giorni passavano lenti e io cercavo di concentrarmi sul
lavoro e su come aiutare Christine. Decisi che non potevo occuparmi del suo
caso: ero troppo coinvolta.
Così andai da un mio collega, per vedere se potesse occuparsene lui.
Quella mattina presi la bici e andai nella zona sud della
città, pedalando sulla pista ciclabile che costeggiava il fiume.
Era una bella giornata di sole, pedalavo lentamente e mi gustavo il panorama.
Il cigolio della ruota posteriore mi distraeva, sembrava un respiro affaticato.
Il vento mi accarezzava e mi scompigliava i capelli.
Era da tanto che non passavo di lì. Mi godevo i monumenti, i raggi del sole che
illuminavano il fiume.
Arrivai a destinazione. Feci qualche respiro profondo
prima di entrare nello studio di Enrico, un amico penalista ormai molto noto.
Appena dissi il mio nome alla receptionist, mi sorrise e
mi accompagnò in una saletta riunioni, dove mi fece accomodare.
Attesi quasi mezz’ora, poi Enrico arrivò trafelato.
— Ciao cara, allora? Come posso aiutarti?
Cominciai a raccontare tutto dall’inizio, con tutti i
particolari. Lui mi guardava fisso, attento, facendo domande laddove io non
riuscivo a essere chiara: ero troppo presa dalle emozioni.
Parlammo per un paio d’ore e preparammo una strategia. Lui
si prese il caso. Telefonammo insieme a Christine, che accettò senza esitare.
Uscii dallo studio come se mi fossi tolta un peso dalle
spalle. Pedalai velocemente verso casa.
Ero seduta sul divano con un bicchiere di vino rosso, che
gustavo a piccoli sorsi, quando il campanello suonò.
Dentro di me scattò un allarme: chi poteva essere a quell’ora? E come mai non
avevano suonato dal campanello sulla strada?
Con la testa un po’ frastornata dal vino, aprii la porta…
e me lo trovai davanti.
Il mio corpo si raggelò, ogni muscolo si irrigidì.
— Cosa ci fai qui? — chiesi.
— Sono venuto a prendermi ciò che mi appartiene — rispose.
— Cioè? —
— Il tuo amore.
Fece un passo avanti, spinse la porta con il braccio, mi
abbracciò stretta e mi baciò con passione, come non aveva mai fatto.
La porta si chiuse dietro di noi.
Mi ritrovai distesa sul letto, mezza nuda, senza capire bene cosa stesse
accadendo.
Ero tra le sue braccia, sotto le coperte, annusando il suo profumo,
accarezzando la sua pelle.
E così… mi addormentai tra le sue braccia.
E tutto scomparve, in un attimo.
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